"in forma di fotografia" di Pippo Pappalardo

La seconda biennale del progetto pAssaggi è presentata in modo magistrale dal noto giornalista Pippo Pappalardo:
"Da decenni la ricerca fotografica (o, meglio ancora, l’evoluzione dell’atto-espressione fotografica) marcia in più direzioni. Obbedisce, in tal senso, alle trasformazioni tecnologiche del mezzo, e ne conforma l’uso delle medesime alle necessità del loro utilizzo.
Sono state talmente tante le modalità espressive scaturite in questi ultimi anni che gli storici, che si sono cimentati nella loro narrazione ed analisi, hanno dovuto riconoscere che per ognuna di esse sussistono (e tutte ancora da individuare) divisioni di competenze e basi di valutazione differenti (che, pertanto, occorre studiare con attenzione se si vuol comprendere l’ambito culturale nel quale il singolo autore, poi, ha ottenuto una sua considerazione).
Gli autori che vengono proposti nella presente circostanza, si sono allontanati - con assoluto rispetto - dall’uso del mezzo fotografico inteso come attestazione e certificazione di veridicità del reale, tanto caro alla scuola bressoniana (e che, troppe volte, si risolveva in una sorta di autoreferenzialità).
Questo allontanamento si è reso indispensabile allorché sono venute meno le certezze dei grandi sistemi interpretativi del sapere scientifico ed umanistico, e, con essi, in ambito artistico, l’aspetto identitario della fotografia, ancora legato a quelle specificità linguistiche più vicine al cinema e alla televisione che allo stato dell’arte contemporanea.
Gli autori che qui si presentano, infatti, operano in questo “nostro” tempo laddove l’uso dello strumento fotografico ha raggiunto numeri inimmaginabili qualche anno addietro. Pertanto, muovendo da questo fenomeno, tocca loro teorizzare su un evidente corollario il quale si costruisce su un’assoluta evidenza e cioè “il passaggio dal tempo dalla fotografia a quello dell’immagine” (e, conseguentemente il distacco da ogni retaggio analogico e l’accettazione/contaminazione col virtuale). Le conseguenze sono, anzi già sono state, sotto gli occhi di tutti.
Eppure, per molti di loro l’esperienza di questo passaggio radicale (nella formulazione dell’immagine fotografica) non è ancora così profonda e netta. Ai fotografi qui presenti piace ancora collocare il senso della ricerca e della sperimentazione tra il visibile e l’invisibile; anzi, ereditando il pensiero di Merleau-Ponty prendono consapevolezza che la loro opera (ormai immagine e non più mera fotografia) acquista una forza e una maggiore visibilità quando il lavoro fotografico non rimane circoscritto alla sfera del visibile ma si rivolge al significato delle dimensioni, delle linee di forza, del senso delle prospettive, dei punti di vista.
Questi fotografi hanno letto le “Verifiche” di Ugo Mulas e hanno pulito le lenti del loro strumento con il rigore di quella preziosissima meditazione: hanno verificato la natura di una fotografia come fa un biologo, un chimico, quasi che le immagini fossero molecole.
Anche loro hanno cercato di ricomporre le sorti del vecchio “combattimento per una immagine” tra le arti visive. Così facendo, hanno rivisto la loro vocazione fotografica alla luce del lavoro di tanti compagni d’avventura e di poesia, confrontandosi con i maestri della scuola di Dusseldorf, con i Becher, con il nuovo paesaggio italiano, con i New Topographics ma anche con la letteratura, con il teatro, con la poesia, con la psicanalisi, con le scienze della percezione.
Occorre prendere atto che il “passaggio dalla camera oscura alla camera chiara” li ha costretti ad elaborare una estetica dell’atto (e del processo fotografico) da pensare nuovamente; anche perché, dobbiamo pur dirlo, occorreva liberare quello sguardo da troppo tempo imbrigliato dal cattivo uso dell’immagine nel mondo in cui viviamo. Liberarlo e costringerlo a negoziare (a confrontarsi) con le restanti manifestazioni delle arti visive.
Alla luce di queste brevi considerazioni, le espressioni fotografiche dei nostri amici potrebbero apparirvi solo delle proposte provocatorie, formulate con un segno apparentemente trasgressivo, quasi degli effetti ricercati per mettere in imbarazzo lo spettatore. Provate piuttosto a capire che cosa accende il vostro interesse per una fotografia, da dove proviene il significato che le diamo o se ci interessa l’intenzione di chi l’ha scattata. Proviamo a dialogare con l’immagine e, così, capire perché qualcuna è facilmente (?) comprensibile ed altre rimangano difficili. Dopo questo semplice esercizio converrete che è nella natura delle immagini trascendere il loro significato in modi che sono anarchici, elusivi, enigmatici e, forse, ambigui. Vi renderete conto che è importante non tanto cosa pensiamo delle fotografie quanto “come” pensiamo ad esse, e “cosa” accade nel momento in cui guardiamo.
Qualcuno dirà: “ma è stato sempre così”: è vero, ma ciò che ieri vedevano i nostri occhi mal-educati non è più quello che vediamo oggi sebbene aiutati da strumenti sofisticati: intelligenza artificiale, realtà aumentata, metaverso sono esperienze con le quali tocca confrontarci in termini di analisi, introspezioni, confronti ma anche in termini di avventura e di scoperta di nuove, possibili visioni.
Coraggio, l’avventura è iniziata; e siamo in ritardo all’appuntamento."
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